Riforma del Terzo Settore: il quadro della riforma

Il Consiglio dei Ministri ha approvato i Decreti attuativi della Riforma del Terzo Settore, in particolare:

Nell’esaminare la materia non dobbiamo dimenticare che:

  • l’entrata in vigore dei provvedimenti in realtà è dilazionata nel tempo con particolare riferimento al sistema di agevolazioni fiscali per il quale è necessario l’assenso dell’Unione europea: la lettura del Codice del Terzo settore e del Decreto sull’impresa sociale deve pertanto avvenire con la consapevolezza che alcune disposizioni che disciplinano gli enti non commerciali sono ancora pienamente operative;
  • il Governo deve emanare ancora diversi importanti decreti attuativi ed adottare linee guida vincolanti per le organizzazioni;
  • l’Agenzia delle Entrate dovrebbe licenziare una Circolare esplicativa per dissipare diversi dubbi interpretativi

e sopratutto

  • il Governo ha un anno (a decorrere dall’adozione del Decreto) per apportare i necessari Decreti correttivi.

 

1 – Quali sono le attività che possono caratterizzare un Ente del Terzo settore?

Il Codice del Terzo settore definisce il perimetro d’azione degli Enti del Terzo Settore definendone i seguenti settori d’attività esercitabile (per una dettagliata analisi si rinvia all’art. 5 del testo normativo):

  1. a) interventi e servizi sociali;
  2. b) prestazioni sanitarie riconducibili ai Livelli Essenziali di Assistenza;
  3. c) prestazioni socio-sanitarie;
  4. d) educazione, istruzione e formazione professionale,;
  5. e) servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell’ambiente e all’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali;
  6. f) interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio;
  7. g) formazione universitaria e post-universitaria;
  8. h) ricerca scientifica di particolare interesse sociale;
  9. i) organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale;
  10. j) comunicazione a carattere comunitario;
  11. k) organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;
  12. l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo;
  13. m) servizi strumentali ad enti del Terzo settore resi da enti composti in misura non inferiore al settanta per cento da enti del Terzo settore;
  14. n) cooperazione allo sviluppo;
  15. o) commercio equo e solidale,;
  16. p) servizi finalizzati all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori e delle persone di cui all’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 6 giugno 2016, n. 106;
  17. q) alloggio sociale nonché ogni altra attività di carattere residenziale temporaneo diretta a soddisfare bisogni sociali, sanitari, culturali, formativi o lavorativi;
  18. r) accoglienza umanitaria ed integrazione sociale di stranieri;
  19. s) agricoltura sociale;
  20. t) organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche;
  21. u) beneficenza, sostegno a distanza, o erogazione di denaro, beni o servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività di interesse generale a norma del presente articolo;
  22. v) promozione della pace tra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata;
  23. w) promozione e tutela dei diritti umani e dei diritti civili;
  24. x) cura di procedure di adozione internazionale;
  25. y) protezione civile;
  26. z) riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata.

Tale elenco potrà essere aggiornato con DPCM da adottarsi su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

 

2 – Quali sono gli Enti del Terzo settore? E quali non possono esserlo?

Non tutte le organizzazioni senza scopo di lucro si qualificano come “Enti del Terzo Settore” o ETS: è necessario verificare la sussistenza dei seguenti requisiti ed in ogni caso è necessario verificare l’opportunità di assumere tale qualifica, trattandosi in ogni caso di una qualifica – e di un conseguente regime – opzionale.

Possono assumere tale qualifica:

  • le organizzazioni di volontariato (ODV). Il Codice le definisce come associazioni – con o senza personalità giuridica – costituite per lo svolgimento prevalentemente (e quindi non esclusivo) a favore di terzi di una o più attività specificate al precedente paragrafo;
  • le associazioni di promozione sociale (APS). Il Codice le definisce come associazioni – con o senza personalità giuridica – costituite per lo svolgimento in favore dei propri associati, di loro famigliari o di terzi di una o più attività specificate al precedente paragrafo.
  • gli enti filantropici, ossia associazioni riconosciute o fondazioni che erogano denaro, beni o servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività di interesse generale;
  • le imprese sociali, incluse le cooperative sociali. Rimane in vigore la Legge 381/1991 che disciplina la cooperazione sociale ma le cooperative diventano automaticamente imprese sociali assoggettate ai vincoli di cui al Decreto;
  • le reti associative definite come associazioni di secondo livello che supportano gli aderenti;
  • le società di mutuo soccorso, disciplinate dalla Legge 3818/1886 e dagli artt.42-44 del Codice;
  • ogni altro ente costituito in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità: civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma volontaria e di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritto nel registro unico nazionale del Terzo settore.

Un trattamento speciale viene riservato agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e agli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato: a loro si applicano le norme del Codice limitatamente allo svolgimento delle attività civiche, solidaristiche e di utilità sociale.

Non possono invece assumere in ogni caso la qualifica di Ente del Terzo settore:

  • le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del DLgs 165/2001,
  • le formazioni e le associazioni politiche,
  • i sindacati,
  • le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche,
  • le associazioni di datori di lavoro,
  • gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti.

3 – Il Registro del Terzo settore.

La qualifica di Ente del Terzo Settore discende dall’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore (tenuto dalle Regioni e dalle Province autonome) che garantirà una maggiore trasparenza nei rapporti con le organizzazioni iscritte, diventando obbligatorio – pena la cancellazione dal Registro – fornire informazioni quali:

  • denominazione, forma giuridica, sede legale e secondarie, data di costituzione, oggetto dell’attività, codice fiscale o partita iva;
  • l’eventuale patrimonio minimo, qualora si acquisisca la personalità giuridica;
  • le generalità dei soggetti che hanno la rappresentanza legale dell’ente e le generalità dei soggetti che ricoprono cariche sociali con indicazione dei poteri e limitazioni;
  • eventuali modifiche allo statuto o ad altri atti o documenti il cui deposito è obbligatorio;
  • rendiconti e bilanci nonché i rendiconti delle raccolte fondi e il rendiconto relativo ai contributi pubblici percepiti, da depositare entro 30 giorni dall’approvazione.

 

4 – Quali norme vengono abrogate con la riforma e con quale tempistica?

Il Decreto legislativo prevede l’abrogazione delle seguenti disposizioni a partire dalla sua entrata in vigore, fatte salve le eccezioni di seguito specificate:

  1. la Legge 266/1991: è la legge sulle organizzazioni di volontariato;
  2. la Legge 383/2000: è la legge sulle associazioni di promozione sociale;
  3. gli articoli 2, 3, 4 e 5, della Legge 438/1998, disposizioni che disciplinano il contributo statale a favore delle associazioni nazionali di promozione sociale;
  4. il D.M. 177/2010 recante Regolamento concernente i criteri e le modalità per la concessione e l’erogazione dei contributi di cui all’articolo 96 della legge 21 novembre 2000, n. 342, in materia di attività di utilità sociale, in favore di associazioni di volontariato e organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, in quanto il Codice interviene in materia di contributi pubblici;
  5. il Decreto del Ministro del tesoro dell’8 ottobre 1997 recante “Modalità per la costituzione dei fondi speciali per il volontariato presso le regioni” perché i fondi sono ora disciplinati dal Codice;
  6. l’articolo 100, comma 2, lettera l) del TUIR, disciplinante gli oneri di utilità sociale legati alle erogazioni liberali in denaro dirette alle associazioni di promozione sociale;
  7. l’articolo 15, comma 1, lettera i-quater), del TUIR disciplinante le erogazioni liberali in denaro a favore delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri;
  8. l’articolo 15, comma 1, lettera i-bis) del TUIR disciplinante i contributi associativi versati dai soci alle società di mutuo soccorso,  in quanto ora disciplinate dall’articolo 83 del Codice.

Infine altre disposizioni in materia fiscale sono abrogate a decorrere dal periodo d’imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea e comunque non prima del periodo d’imposta successivo di operatività del Registro unico del Terzo settore.